LA SEZIONE DISCIPLINARE 
             DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA 
 
    composta dai signori: 
        avv.  Giovanni  Legnini,  Vice   Presidente   del   Consiglio
Superiore della Magistratura - Presidente; 
        avv. Antonio Leone, componente eletto dal Parlamento; 
        dott.ssa  Maria  Rosaria  San   Giorgio   -   magistrato   di
legittimita'; 
        dott. Lorenzo Pontecorvo - magistrato di merito - relatore; 
        dott. Nicola Clivio - magistrato di merito - componente; 
        dott. Luca Palamara - magistrato di merito - componente. 
    Con l'intervento del Sostituto Procuratore Generale dott. Carmelo
Sgroi, delegato dal Procuratore Generale presso la Corte  Suprema  di
Cassazione e con l'assistenza del magistrato addetto alla  Segreteria
della   Sezione   Disciplinare   del   Consiglio   Superiore    della
Magistratura, ha pronunciato la seguente ordinanza  nel  procedimento
disciplinare  n.  161/2014  R.G.  nei  confronti  del  dott.  Michele
Emiliano  (nato  il  23.7.1959  a  Bari)  magistrato   collocato   in
aspettativa e fuori ruolo organico della  magistratura,  (difeso  dal
dott. Armando Spataro), incolpato dell'illecito disciplinare  di  cui
agli articoli l , comma l, e 3, comma l ,  lettera  h),  del  decreto
legislativo 23 febbraio 2006, n.  109,  nel  testo  modificato  dalla
legge 24 ottobre 2006, n. 269, per avere, quale magistrato  collocato
in aspettativa e fuori  ruolo  organico  della  magistratura  per  lo
svolgimento del mandato amministrativo di Sindaco del Comune di  Bari
(due mandati, senza soluzione di continuita', giugno  2004  -  giugno
2009 e quindi giugno 2009 -  giugno  2014),  poi  per  l'incarico  di
assessore del Comune di S. Severo (Foggia), quindi per lo svolgimento
del mandato elettivo di Presidente della Regione  Puglia  (da  giugno
2015 sino alla data odierna): 
        (a) ricoperto, nel corso del medesimo periodo, gli  incarichi
di: segretario regionale del Partito Democratico - PD  della  Puglia,
dall'ottobre  2007   all'ottobre   2009;   presidente   del   Partito
Democratico - PD della Puglia, dal novembre  2009  al  gennaio  2014;
nuovamente segretario regionale del Partito Democratico  -  PD  della
Puglia, a partire da febbraio 2014 ad oggi; cariche dirigenziali  che
presuppongono  per  statuto  l'iscrizione  al  partito  politico   di
riferimento   e   che,   per   converso,   non   sono    coessenziali
all'espletamento dei mandati e  dell'incarico  suddetti  presso  enti
territoriali; 
        (b) presentato, nel marzo 2017, a norma del  Regolamento  per
le procedure di elezione del Segretario e  dell'Assemblea  nazionale,
approvato dalla direzione del Partito Democratico -  PD  in  data  24
febbraio 2017, quale componente della Direzione nazionale, la propria
candidatura e le  relative  linee  programmatiche  per  l'elezione  a
Segretario nazionale del Partito Democratico - PD, carica di  vertice
di  rappresentanza  e  di  espressione  dell'indirizzo  politico  del
partito,  funzionale  alla  successiva  proposta  per  l'incarico  di
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  (art.  3  dello  Statuto);
candidatura  a  Segretario   nazionale   che   presuppone   anch'essa
l'iscrizione al partito, a norma  dell'art.  9,  paragrafo  3,  dello
Statuto del Partito Democratico - PD. 
    In tal modo il dott.  Emiliano,  iscrivendosi  ad  un  partito  e
svolgendovi attivita' partecipativa e direttiva in forma  sistematica
e continuativa, ha violato,  a  partire  dal  2007,  la  disposizione
dell'art.  3,  comma  l,  lettera  h),  del  decreto  legislativo  n.
l09/2006, norma a sua volta attuativa  della  prescrizione  dell'art.
98, terzo comma, della Costituzione, posta a garanzia  dell'esercizio
indipendente ed imparziale  della  funzione  giudiziaria  e  valevole
anche in relazione ai magistrati  che  non  svolgano  temporaneamente
detta funzione, per essere collocati fuori del ruolo  organico  della
magistratura (Corte cost., sentenza n. 224 del 2009; C.S.M.,  Sezione
disciplinare, sentenza n. 100/2010). 
    Notizia circostanziata dei fatti acquisita in  data  27  novembre
2013 e successivamente fino a oggi. 
 
                        In fatto e in diritto 
 
    l. - Il Procuratore Generale ha  promosso  l'azione  disciplinare
nei confronti del dott. Michele Emiliano  contestando  al  magistrato
l'illecito disciplinare di cui agli articoli l, comma l, e  3,  comma
l, lettera h) del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109. 
    Il dott. Emiliano, in particolare -  collocato  fuori  del  ruolo
organico  della  magistratura  per   lo   svolgimento   del   mandato
amministrativo di Sindaco del Comune di  Bari  (dal  giugno  2004  al
giugno 2014): di assessore «esterno» del Comune di S.  Severo  e  del
mandato elettivo di Presidente della Regione Puglia (dal giugno  2015
sino alla data odierna) - aveva ricoperto gli incarichi di segretario
regionale del Partito Democratico -  PD  della  Puglia  (dall'ottobre
2007 all'ottobre 2009), di Presidente del Partito  Democratico  -  PD
della Puglia (dal novembre 2009 al gennaio 2014)  e,  nuovamente,  di
segretario del Partito Democratico - PD della  Puglia  (dal  febbraio
2014 al 21 maggio 2016). 
    Tale  contestazione  e'  stata  integrata   -   in   termini   di
prosecuzione della condotta per  il  periodo  successivo  rispetto  a
quello in cui era stata formalizzata la richiesta di fissazione della
udienza - in relazione ad ulteriori evenienze  ritenute  suscettibili
di integrare la medesima violazione disciplinare. 
    Il  dott.  Emiliano,  in  particolare,  quale  componente   della
Direzione Nazionale del Partito Democratico PD, aveva presentato, nel
marzo 2017, a norma del Regolamento per le procedure di elezione  del
Segretario e dell'Assemblea nazionale, approvato dalla direzione  del
Partito in data  24  febbraio  2017,  la  propria  candidatura  e  le
relative linee programmatiche per l'elezione a Segretario  nazionale,
carica di vertice di rappresentanza e di  espressione  dell'indirizzo
politico del partito che, oltre ad essere funzionale alla  successiva
proposta per l'incarico di  presidente  del  Consiglio  dei  ministri
(art.  3  dello  Statuto),   presuppone   l'iscrizione   al   Partito
Democratico. 
    E' stato al riguardo contestato che tali cariche  dirigenziali  -
non coessenziali con l'espletamento dei mandati amministrativi presso
gli enti territoriali presuppongono,  per  statuto,  l'iscrizione  al
partito  politico  di  riferimento  e  che  pertanto  il  magistrato,
iscrivendosi ad un partito e svolgendovi  attivita'  partecipativa  e
direttiva in forma sistematica e  continuativa,  avrebbe  violato  la
disposizione di cui all'art. 3 lettera h) del decreto legislativo  23
febbraio 2006, n. 109; norma questa attuativa della  prescrizione  di
cui all'art. 98, terzo comma, della  Costituzione  posta  a  garanzia
dell'esercizio indipendente ed imparziale della funzione  giudiziaria
e  valevole  anche  in  relazione  ai  magistrati  che  non  svolgano
temporaneamente detta funzione per essere collocati fuori  dei  ruolo
organico della magistratura. 
    2. - Deve essere, in questa sede ed in via preliminare, disattesa
l'eccezione di estinzione del procedimento disciplinare, per  decorso
del termine annuale, come invocata dalla difesa in forza del disposto
di cui all'art. 15 comma l del decreto legislativo n. 109/2006. 
    E' sufficiente al riguardo rilevare  che  l'azione  disciplinare,
azionata in data 30 ottobre 2014 per le condotte formalizzate con  le
iniziali contestazioni, e' stata rapportata - in termini di notizia e
conoscenza dei fatti - ad un articolo di stampa  del  quotidiano  «La
Repubblica di Bari» acquisito in data 2 dicembre 2013 e ad un esposto
protocollato dalla Ufficio della Procura Generale  in  data  7  marzo
2014. 
    Non  emergono  inoltre  profili;  apprezzabili  in   termini   di
notorieta', che - come prospettato dalla difesa - possano assumere un
concreto  rilievo  ai  fini  della  formulazione  di   circostanziate
contestazioni in epoca antecedente le stesse date. 
    3. - E', quindi, da ricordare che l'art. 3 comma l lettera h) del
decreto legislativo n. l09/2006 configura quale illecito disciplinare
l'iscrizione o  la  partecipazione  sistematica  e  continuativa  del
magistrato a partiti politici. 
    Le  problematiche  applicative  ed  interpretative  di  una  tale
normativa sono state, sotto alcuni aspetti,  affrontate  dalla  Corte
costituzionale investita dalla Sezione disciplinare di una  questione
di costituzionalita', con riferimento agli articoli 2, 3, 18, 49 e 98
della Costituzione. 
    La Sezione, in particolare, aveva offerto la tesi secondo cui  il
divieto formale ed assoluto di iscrizione ai partiti politici per  il
magistrato, rafforzato da una sanzione per la sua violazione, sarebbe
andato oltre la nozione giuridica della mera limitazione  compatibile
con una regolamentazione  che  contemperi  il  diritto  politico  del
singolo  con  l'esigenza  di  imparzialita',  anche  percepita,   del
giudice. 
    In quella sede il Giudice delle leggi, con sentenza n. 224/2009 -
nel ribadire che i magistrati godono degli stessi diritti di liberta'
garantiti ad ogni altro cittadino e che,  quindi,  possono  non  solo
condividere un'idea politica, ma anche espressamente  manifestare  le
proprie opzioni al riguardo - ha tuttavia precisato che  le  funzioni
esercitate  e  la  qualifica  rivestita  dai  magistrati   non   sono
indifferenti e prive  di  effetti  per  l'Ordinamento  Costituzionale
considerando che; per la natura della loro funzione, la  Costituzione
riserva ai magistrati una disciplina del tutto particolare, contenuta
nel titolo IV della parte II (artt. 101  e  ss.)  che,  da  un  lato,
assicura  una  posizione  peculiare,  dall'altro,   correlativamente,
comporta l'imposizione di speciali doveri. 
    Ha al riguardo precisato che - proprio in questa prospettiva, nel
bilanciamento tra la liberta'  di  associarsi  in  partiti,  tutelata
dall'art. 49 Cost., e  l'esigenza  di  assicurare  la  terzieta'  dei
magistrati ed anche l'immagine  di  estraneita'  agli  interessi  dei
partiti che si contendono il campo - l'art. 98, terzo comma, Cost. ha
demandato  al  legislatore  ordinario  la   facolta'   di   stabilire
limitazioni  al  diritto  d'iscriversi  ai  partiti  politici  per  i
magistrati,  con  cio'  consentendo  al  legislatore   ordinario   di
introdurre;   a   tutela   e   salvaguardia   dell'imparzialita'    e
dell'indipendenza dell'Ordine Giudiziario, il divieto  di  iscrizione
ai partiti politici per i magistrati rafforzando quindi  la  garanzia
della loro soggezione soltanto alla Costituzione e alla legge  e  per
evitare che l'esercizio delle loro delicate  funzioni  sia  offuscato
dall'essere essi legati ad una struttura partitica che importa  anche
vincoli gerarchici interni. 
    Ha, quindi, chiarito che l'attuale art. 3 comma l lettera h)  del
decreto legislativo n. l09/2006 ha dato  attuazione  alla  previsione
costituzionale stabilendo che costituisce illecito disciplinare,  non
solo  l'iscrizione,  ma  anche  la   partecipazione   sistematica   e
continuativa a partiti politici in quanto, accanto  al  dato  formale
dell'iscrizione, rileva, ed  e'  parimenti  precluso  al  magistrato,
l'organico schieramento con  una  delle  parti  politiche  in  gioco,
essendo  anch'esso  suscettibile,   al   pari   dell'iscrizione,   di
condizionare l'esercizio indipendente ed imparziale delle funzioni  e
di comprometterne l'immagine dovendo il cittadino essere  rassicurato
sul fatto che l'attivita' del magistrato, sia esso giudice o pubblico
ministero, non sia guidata dal desiderio di far prevalere  una  parte
politica. 
    Ha infine osservato, per quanto di rilievo, che non contrasta con
quei parametri l'assolutezza del divieto, ossia il fatto che esso  si
rivolga a tutti i magistrati, senza eccezioni «... e quindi  anche  a
coloro che, come nel caso  sottoposto  all'attenzione  della  Sezione
disciplinare  rimettente,   non   esercitano   attualmente   funzioni
giudiziarie. Infatti, l'introduzione del divieto  si  correla  ad  un
dovere di imparzialita' e questo grava sul  magistrato,  coinvolgendo
anche il suo operare da semplice cittadino, in ogni momento della sua
vita professionale, anche quando  egli  sia  stato,  temporaneamente,
collocato fuori ruolo per lo svolgimento di un compito tecnico». 
    4. - Osserva  al  riguardo  la  Sezione  che  la  questione  oggi
all'attenzione del giudice disciplinare appare - quantomeno in  parte
- diversa rispetto al caso da cui origino' la  sentenza  n.  224  del
2009 della Corte costituzionale. 
    In particolare, nel caso esaminato dal Giudice  delle  leggi,  il
magistrato era stato collocato  fuori  ruolo  per  svolgere  funzioni
tecniche di consulenza a favore di una Commissione parlamentare e non
quindi, come nel caso in esame, funzioni elettive che determinano una
fase di sospensione delle funzioni giudiziarie per un arco  temporale
non definibile  e  che  potrebbe  finanche  superare  il  periodo  di
appartenenza del magistrato all'Ordine giudiziario. 
    Le stesse funzioni elettive sono, per loro natura,  connotate  da
sicuro rilievo politico. Ne deriva che  le  problematiche  in  ordine
alla compatibilita' delle dinamiche tipiche della politica  -  e  dei
movimenti che in essa agiscono - con i divieti  di  cui  all'art.  3,
lettera h) devono essere valutate in una ottica diversa che e' quella
propria  di  tutela   dei   diritti   politici   riconosciuti   dalla
Costituzione. 
    E' noto, in particolare, che, a livello costituzionale  (art.  51
Cost.) ed a livello legislativo primario e secondario, e'  consentita
la partecipazione dei magistrati alla vita politico -  amministrativa
attraverso la. candidatura alle elezioni nazionali, regionali e degli
enti locali oppure con la loro nomina quali assessori dei  rispettivi
organi  esecutivi  (ovviamente  nel   rispetto   dei   requisiti   di
eleggibilita' previsti per ciascuna fattispecie). 
    In coerente applicazione  del  portato  precettivo  dell'art.  51
della Costituzione - quale previsione che assicura in via generale il
diritto di elettorato passivo, riconducibile alla sfera dei  «diritti
inviolabili della persona» di cui all'art. 2 Cost.  -   il  Consiglio
Superiore della Magistratura ha ritenuto che  l'accesso  al  pubblico
ufficio non e' soggetto ad autorizzazione trattandosi di  un  diritto
politico costituzionalmente riconosciuto in capo  ad  ogni  cittadino
senza alcuna distinzione derivante dall'attivita'  o  dalle  funzioni
svolte. Ha, inoltre, ripetutamente affermato  la  possibilita'  della
contemporanea assunzione  di  incarichi  politico-amministrativi  (in
forza di mandato elettorale o di incarico di assessore)  in  capo  ai
magistrati,  fermo  restando  l'obbligo  di  ricorrere   all'istituto
dell'aspettativa ove vi sia coincidenza tra l'ambito territoriale  di
svolgimento   della   funzione   giurisdizionale e    quello    della
circoscrizione elettorale,  e  cio'  sul  rilievo  che  le  cause  di
ineleggibilita' ed incompatibilita' hanno carattere tassativo, e  tra
esse non e' inclusa la mera appartenenza all'Ordine giudiziario. 
    Se, quindi, al magistrato la normativa vigente consente, a  certe
condizioni, lo svolgimento di un compito che non puo' non manifestare
caratteristiche collegate alle  dinamiche  politico-partitiche,  cio'
deve rifluire sulla  corretta  interpretazione  del  significato  del
divieto disciplinare di  cui  all'art.  3,  lettera  h)  del  decreto
legislativo n. 109 del 2006 che porterebbe ad escludere la  rilevanza
disciplinare  in  tutti  quei  casi  in  cui  la  partecipazione  del
magistrato ad aspetti e momenti della vita  politico-partitica  siano
proporzionalmente e ragionevolmente  collegati  alle  caratteristiche
della funzione legittimamente ricoperta dal  magistrato  fuori  ruolo
sembrando irrazionale e contraddittorio  consentire,  da  una  parte,
l'assunzione di tali ruoli e dall'altra sostanzialmente vietare -  ed
anzi  sanzionare   disciplinarmente   -   alcune   manifestazioni   e
situazioni, ritenute sintomo di  «organico  schieramento  partitico»,
che possono risultare strettamente legate all'essenza di quei ruoli. 
    4.1 - E' del resto, indubbio che, allo stato  della  legislazione
vigente - e, quantomeno, alla  luce  della  «communis  opinio»  -  e'
consentito ai magistrati di essere eletti al Parlamento  nelle  liste
di partiti politici, di iscriversi ai relativi gruppi parlamentari  e
di contribuire ad attuarne la linea politica a livello nazionale, con
cio' figurando pubblicamente come esponenti di quello stesso  partito
(il Consiglio superiore della Magistratura, gia' con risoluzione  del
28 aprile 2010 e successivamente con delibera 21 ottobre 2015,  aveva
auspicato  un  intervento  di  legislazione  primaria  finalizzata  a
regolamentare  il   percorso   di   partecipazione   dei   magistrati
all'esercizio di uffici politico-amministrativi). 
    Lo stesso confine tra la militanza e la candidatura  indipendente
e'  spesso  incerto  risultando,  peraltro,  difficile  risolvere  la
discrasia  fra  la  normativa  che,  vietando   l'iscrizione   e   la
partecipazione  duratura  all'attivita'  dei  partiti,  mirerebbe   a
preservare   l'imparzialita'   del   magistrato   e   la   disciplina
dell'esercizio del diritto di elettorato passivo dei magistrati, cio'
specialmente nei casi in cui la candidatura e' proposta da un partito
oppure presuppone la previa iscrizione del candidato al  partito  che
presenta la lista,  cio'  nel  pieno  esercizio  di  quanto  previsto
dall'art. 49 della Costituzione che fonda il diritto, in capo ad ogni
cittadino senza distinzione di sorta, di  associarsi  liberamente  in
partiti per concorrere a determinare la politica nazionale sulla base
dei principi del governo democratico e rappresentativo. 
    La Sezione non ignora che i magistrati sono generalmente chiamati
a candidarsi come «indipendenti». Tale chiamata, tuttavia,  non  puo'
prescindere da una valutazione positiva  della  storia  professionale
dell'interessato. 
    La stessa candidatura, poi, consente chiaramente di  identificare
l'area politica di riferimento del magistrato. 
    Del resto la liberta' di associazione politica in  capo  ad  ogni
cittadino - a  cui  viene  consentito  l'ingresso,  su  un  piano  di
eguaglianza, nel tessuto vivo delle istituzioni, cosi' da  realizzare
la democraticita' della Repubblica - costituisce un'espressione della
liberta'  di  associazione  e rappresenta,  insieme   alle   liberta'
consacrate negli artt. 2 e 18,  un  cardine  essenziale  del  sistema
democratico. 
    E'  quindi  l'impianto  stesso   della   Costituzione,   con   il
riconoscimento della liberta' di associazione e  di  associazione  in
partiti, a suggerire che  il  diritto  di  iscriversi  ai  partiti  e
partecipare alle loro attivita' - se puo' trovare delle limitazioni -
non puo' tuttavia essere completamente eliminato, tantomeno nei  casi
in cui il collocamento  in  aspettativa  del  magistrato  per  motivi
elettorali assume un peso particolare nel giudizio  di  bilanciamento
tra l'esigenza di salvaguardare l'indipendenza esterna del magistrato
ed il diritto del cittadino - magistrato di non essere escluso  dalla
vita  politica  del  proprio  Paese  considerando  altresi'  che   le
restrizioni di un  diritto  inviolabile  sono  ammissibili  solo  nei
limiti  indispensabili  alla  tutela  di  altri  interessi  di  rango
costituzionale pari o superiore. 
    5. - Sembra, in definitiva, illegittima  per  contrasto  con  gli
articoli 2, 3, 18, 49 e 98  Cost.  la  norma  contenuta  nell'art.  3
lettera h), nella parte in cui non esclude dal novero dei  magistrati
destinatari del divieto di iscrizione quelli che sono collocati fuori
ruolo - e che non esercitano quindi le  funzioni  giudiziarie  -  per
espletare mandati elettorali. 
    6. - Della questione. deve pertanto essere, investito il  Giudice
delle leggi, cio' anche in ragione della rilevanza della questione. 
    In punto di rilevanza e' da considerare che il dott.  Emiliano  -
collocato fuori del ruolo organico della  magistratura  da  ormai  12
anni - ha svolto le funzioni di sindaco del  comune  di  Bari  e  poi
quelle di Presidente della Regione Puglia. 
    Non puo' pertanto essere ignorato  che,  in  linea  generale,  al
Sindaco spettano ovviamente  funzioni  amministrative  ma  la  natura
elettiva diretta  della  carica  contribuisce  a  qualificarlo  quale
organo politico con compiti di governo, indirizzo e controllo  e  che
lo specifico disposto di cui all'art. 121 della Costituzione  prevede
che il Presidente della Giunta rappresenta la  Regione  e  dirige  la
politica della Giunta. 
    Sono  al  riguardo  anche  da  richiamare  i  principi  contenuti
nell'art. 107 del decreto legislativo n. 267 del 2000, nella parte in
cui prevede il riparto tra compiti di  governo,  di  indirizzo  e  di
controllo, spettanti agli organi  politici  elettivi,  e  compiti  di
gestione,  spettanti  ai  dirigenti   amministrativi.   Proprio   con
riferimento agli enti locali, l'art. 107 del decreto  legislativo  n.
267 del 2000 dispone che gli statuti ed i regolamenti  si  uniformano
al  principio  per  cui   i   poteri   di   indirizzo   e   controllo
politico-amministrativo spettano  agli  organi  di  governo,  con  la
precisazione che l'attivita'  di  indirizzo,  riservata  agli  organi
elettivi o politici degli enti, si  risolve  nella  fissazione  delle
linee generali da seguire e degli scopi da perseguire con l'attivita'
di gestione. 
    Se dunque il Sindaco ed il  Presidente  di  Regione  sono  organi
elettivi di natura politica appare allora difficile sostenere che gli
stessi possano imprimere  un  indirizzo  politico  ed  una  linea  di
governo senza disporre di una maggioranza politica organizzata. 
    E' altrettanto  problematico  sostenere  che  un  magistrato  che
esercita legittimamente le funzioni di Sindaco  o  di  Presidente  di
Regione debba (e  possa)  limitarsi  a  beneficiare,  nell'attuazione
della propria linea di  governo,  di  un  mero  appoggio  esterno  ed
incondizionato da parte di una entita' politica  organizzata  con  la
quale non potrebbe confrontarsi in sede partitica e politica  se  non
incorrendo nelle sanzioni disciplinari  previste  per  la  violazione
dell'art. 3 comma l lettera h) del decreto legislativo n. l09/2006. 
    E' vero, invece, che tali cariche esponenziali possono  governare
solo attuando una linea politica concordata con le  entita'  elettive
organizzate  che  lo  sostengono  (e  che  lo  hanno,  prima  ancora,
candidato) partecipando attivamente alla vita  politica  -  e  quindi
alle attivita' di partito - in tutte le sedi in  cui  si  attivano  i
meccanismi decisionali inevitabilmente destinati  ad  incidere  sulle
determinazioni delle maggioranze che sostengano la  loro  l'attivita'
o, comunque, ad esercitare le funzioni proprie della carica. 
    7. -  La  delibazione  sulla  sussistenza  della  responsabilita'
dell'incolpato in relazione  alla  piattaforma  probatoria  acquisita
dovrebbe, infatti, comportare, necessariamente  l'applicazione  della
norma  sospettata  di  contrasto  con  i  richiamati  articoli  della
Costituzione,  apparendo  l'unica  alternativa  ipotizzabile   quella
dell'applicazione dell'art. 3-bis del decreto legislativo n. 109  del
2006, con conseguente assoluzione per scarsa rilevanza  del  fatto  -
non  praticabile,  quantomeno  in  ragione  del  prolungato   impegno
politico del magistrato iscritto ad un partito politico. 
    Non  puo'  pertanto  il  giudizio  disciplinare  essere  definito
indipendentemente dalla  soluzione  della  prospettata  questione  di
legittimita'  costituzionale  essendo  tale  via  l'unica  per  poter
discernere tra attivita' politica svolta  fuori  ruolo  per  incarico
elettivo  ed  attivita'  politica  che  viceversa  viene  svolta   in
condizioni senz'altro diverse quali erano quelle tra l'altro  da  cui
origino' la questione di legittimita'  costituzionale  rigettata  per
effetto della sentenza n. 224/2009.